domenica 4 novembre 2012

TUTTO ALLA CATANESE



Oggi un'inaspettato invito mi ha portato per pranzo, insieme alla mia famiglia, in una villetta di campagna di alcuni parenti dove abbiamo avuto modo di mangiare all'aria aperta, complice ancora la piacevole temperatura, nonostante mancasse il sole e assaggiare alcune squisitezze catanesi.

Contrariamente a come avviene nella quasi totalità delle volte in cui ci si riunisce per pranzare o cenare nelle nostre campagne, abbiamo deciso di non mangiare pasta che, oltre ad appesantirci in vista della quantità di roba presente sulla tavola ancora ncartata nei fagotti originali , ci avrebbe tolto la soddisfazione di mangiare lì, proprio attaccati al braciere e fare una volta per tutte quello che da sempre abbiamo predicato, ma mai praticato: u rusti e mangia.

Per quanti di voi non sono siciliani, questo termine tradotto letteralmente vuol dire mangiare in piedi, prelevando direttamente dal braciere senza dover aspettare i tempi lunghi della distribuzione che, interrompendo l'azione "calorifera" della brace, tende a fare arrivare la carne, chiusa all'interno della pentola, asciutta, tiepida e quasi come se fosse lessa per via della inevitabile continuazione della cottura che avviene all'interno di essa, contribuendo anche a miscelare inesorabilmente i sapori e i gusti delle varie tipologie di carni in essa contenuti.

Saggia decisione quindi e dopo le varie fasi di preparazioni, in cui ognuno si rende disponibile a fare qualcosa nell'interesse proprio e della collettività, accomodato su di un grosso ceppo un vecchio coperchio in legno di un pozzo a bocca larga, senza neanche stendere la tovaglia sopra, abbiamo iniziato a gustare le meraviglie portate da un nostro parente da Catania.

Alivi ianchi e nivuri cunzati cù giardiniera e u peperoncinu; tumazzu di pecura cù sbezziu staggionatu e cunsatu cu cipudduzza nova e l'oghiu di casa; pani di casa cauru cauru cunsatu cù pummarora sicchi oghiu sali alivi e pipu niuru; carni di cavaddu a feddi fini fini nturrata ntill'oghiu, acitu forti e rininu profumatu; puppetti di cavaddu cu macinatu di secunna, aghiu, sali e prizzemulu; sasizza fina cunsata;  feddi ri pani arrustutu, tutto annaffiato da vino novello, ancora vergine, custodito nel prezioso scrigno in legno di faggio all'interno della casetta adibita a magazzino (nei prossimi post, pubblicherò alcune ricette di queste prelibatezze).


Nel pieno rispetto della tradizione, anche il braciere costituito da una vecchia "vacila" in lamierino, non ha mai visto carbone ma soltanto legna secche di ulivo e arancio messe ad asciugare da mesi sotto un gigantesco noce (che ci ha anche donato il suo nero frutto) e fatto "cascare" rosso come l'inferno pronto ad accogliere il prezioso carico posto sulla graticola.

Un pranzo reale, non c'è che dire anche per Billi la piccola cagnetta attenta osservatrice dei gesti di ognuno di noi, pronta ad accogliere a volo i bocconcini prelibati a lei riservati.
Il tutto si è concluso con delle ananas mature al punto giusto che ci ha rinfrescato la bocca, servite su di un piatto di maiolica calatina supra na seggia ri curina ntrizzata.
















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